Simona Padoan è Responsabile del servizio di Business Development di Intesa San Paolo Innovation Center per start up e pmi innovative, in particolare per le realtà innovative dei settori energy, digital, AI, sostenibilità, agrifood.
Si occupa di creare opportunità di business tra realtà innovative e imprese o investitori. È anche Responsabile Open Innovation per le imprese fino a 300mln di fatturato.
Mi ha concesso un’interessante chiacchierata, se volete parlare con lei anche voi potete trovarla su LinkedIn
A che punto del tuo viaggio digitale sei?
Se il metro di misura è la vita stessa, direi a metà. Ho imparato tante cose che mi piace insegnare ma, allo stesso tempo, ho ancora “fame”, voglia di imparare tutto ciò che nascerà di innovativo da qui in avanti.
Cosa ti ha portato fin qui?
Ho fatto la cosiddetta “gavetta”, che considero fondamentale. Quando studiavo Scienze Politiche pensavo che il buon imprenditore dovesse conoscere tutto della propria impresa, a partire dalla catena di montaggio (citazione industriale, vista la città in cui vivo: Torino) e crescendo sono rimasta con la stessa idea.
Il mio percorso è iniziato dall’essere responsabile commerciale in una start up che produceva gioielli in Cina, passando dal concorso in banca, alla filiale come cassiera e poi gestore, fino alla direzione formazione in cui ho mosso i primi passi nel mondo digital e start up.
Qui infatti ho avuto il piacere di partecipare al lancio del primo percorso di accelerazione per start up early stage: Officine Formative. Mi occupavo della strategia digitale del portale ed ero responsabile della community di redattori che alimentava il blog. In quel contesto ho imparato a conoscere l’ecosistema startup e i suoi principali attori: incubatori, business angels, venture capitalist.
Grazie all’esperienza con le start up, quando è nato il Centro Innovazione di Intesa Sanpaolo, è stato naturale confluire nel nuovo contesto, in cui ho portato il mio know how ma ho anche imparato molto.
Qual è la cosa che ti piace del tuo lavoro che ti fa sopportare quella che proprio vorresti non esistesse?
Amo la relazione con le start up e le imprese: è sempre stato l’elemento comune nelle mie esperienze lavorative. In parallelo mi piace fare scouting di realtà innovative, approfondire le loro tecnologie e supportarle, cercando di farle crescere attraverso le opportunità di matching.
L’Italia sta approcciando ora all’open innovation e questo è un aspetto a mio avviso molto stimolante. Per me significa dover fare divulgazione, sensibilizzazione alle imprese ed avere nel mio portafoglio start up e pmi innovative che rispondano ai diversi bisogni.
Qual è il cambio di mindset che ti ha salvato o ti avrebbe salvato dal commettere errori?
Quando si è giovani si ha fretta, il desiderio di avere tutto subito. Con il tempo, invece, impari che occorre avere pazienza in alcune situazioni, attendere il momento giusto per fare proposte o proporsi in prima persona.
Quanto vale la pena rischiare? Raccontami di quando hai presentato qualcosa di cui un po’ ti vergognavi perché non era ancora perfetto.
Mi considero un soggetto avverso al rischio ma la verità è che in ogni contesto della mia vita ho agito rischiando, lasciando spazio alle sensazioni che a volte sono delle guide migliori rispetto alla ragione. La ragione spesso ci blocca e ci impedisce di cavalcare l’onda che porta ad alcune delle grandi opportunità della vita.
Ci sono state volte in cui ho proposto iniziative che non avevano assoluta certezza di buona riuscita, ma le ho sempre motivate, descrivendo la ratio che c’era alla base, i benefici, mettendoci sempre grande passione.
La passione per ciò che si fa sono sicura che sia spesso la migliore alleata per chi ha scelto il mestiere di comunicare le proprie idee e far sì che altri le rendano proprie.
Qual è stato il tuo momento BsoD?
Ci sono state situazioni in cui avevo due scelte: bloccarmi o cavalcare l’opportunità. Ho sempre scelto la seconda opzione.
Ricordo subito dopo l’assunzione in banca, fui mandata in una filiale composta da tre persone. Il giorno in cui dovevo iniziare ho scoperto che il direttore era in ferie per alcune settimane e l’altra collega, che avrebbe dovuto affiancarmi, aveva avuto un incidente.
Mi sono quindi ritrovata completamente sola per 3 settimane, con il solo supporto di un collega giunto da fuori filiale che mi ha formato per il ruolo di cassiera. Per me è stata un’opportunità: mi sono rimboccata le maniche e ho imparato a rendermi utile.
Nell’arco di pochi mesi molti neoassunti del territorio conoscevano la mia storia e si chiedevano come avessi fatto a non lasciarmi prendere dal panico.
Quella mia reazione propositiva è stata ripagata con la fiducia dei responsabili dell’epoca ed il desiderio di darmi l’opportunità di crescere.
Perché non bisogna mai pretendere ma dimostrare.
Quanto è difficile trovare un CTO in Italia e quali qualità deve avere per lavorare con te.
Nelle imprese con cui lavoro è raro trovare un CTO; di solito vi sono i CIO.
Il CTO deve esser un innovatore, deve mappare i trend, stimolare l’innovazione dell’impresa dall’interno ed al contempo esplorare il mercato e le innovazioni esterne (startup/PMI innovative), così da assicurare la competitività alla sua realtà.
Su quale altra professione digitale pensi non ci sia abbastanza informazione e formazione?
L’innovazione è continua, per cui occorre informazione e formazione periodica nel campo del marketing, della comunicazione e della sicurezza dati.
Occorre avere continui aggiornamenti su tutte le professioni digitali, a partire dalle più conosciute (digital strategist, SEO specialist, community manager, UX designer, e-commerce specialist, etc.).
Per le nuove aziende da alcuni anni sono fondamentali i ruoli di data scientist, Cloud Architect, cyber security manager. In merito a quest’ultima professione, c’è davvero ancora tanta cultura da diffondere.
Investiresti più su una startup cammello (con solide basi di partenza) o su un unicorno (alta valutazione del potenziale)?
Investirei su una tecnologia disruptive, scalabile e su un team a 5 stelle. Il team è la cosa più importante che ci sia. Molto spesso incontro business interessanti ma con team deboli; questo è il male peggiore.
È fondamentale che il team sia forte ed in grado di presentare al meglio la propria tecnologia, far crescere la propria realtà, pena la morte stessa della start up.